Oltre Chiasso 1946-1964: emigrare in Svizzera

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  • ISBN: 9788888422626
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"Pan e cortel magneon; par mandar a casa più schei che podeon! Pane e coltello mangiavamo per mandare a casa più soldi che potevamo! Lo ripeteva icasticamente tempo fa un anziano emigrante ricordando quanto duri fossero stati i primi anni del secondo dopoguerra trascorsi da stagionale sui cantieri nei dintorni di Zurigo. Queste parole, e le ripetute conversazioni e discussioni fatte nel tempo con numerosi emigranti lamonesi, le ho rimuginate a lungo. Alla fine mi è parso opportuno raccogliere le testimonianze di ventuno di loro che hanno trovato lavoro in Svizzera in momenti cruciali della loro esistenza e della vita della Comunità di origine. Gli anni durante i quali i lamonesi sono emigrati non potevano che cominciare nei mesi a ridosso della conclusione del secondo conflitto, ovvero agli inizi del 1946, e essere compresi entro la metà degli anni Sessanta. Periodo durante il quale l’esodo in provincia di Belluno iniziava lentamente a rallentare per dare luogo circa un decennio dopo - complici in Svizzera i ripetuti referendum xenofobi e le cicliche crisi economiche - al complesso fenomeno del rientro accompagnato dal difficile reiserimento lavorativo nella terra di provenienza che nel frattempo era economicamente progredita anche grazie alle rimesse degli emigranti e alle opportunità occupazionali generate dalla legge sul Vajont. Fissati questi limiti temporali, non è stato facile individuare un gruppo di persone che risultasse emblematico dell’esperienza migratoria condivisa con migliaia di altri bellunesi e/o italiani che negli stessi anni varcavano i confini della Confederazione elvetica. Nel selezionare un campione di dodici uomini e nove donne, il numero delle emigranti - statisticamente inferiore a quello dei maschi - lo ho scelto volutamente per valorizzzare l’inedito ruolo che esse hanno progressivamente assunto quale forza lavoro richiesta dallo sviluppo economico svizzero nel periodo considerato. Ciascuno di loro li ho incontrati almeno quattro volte, con l’esclusione degli emigranti non rientrati in paese con i quali ho avuto un intenso scambio epistolare e telefonico. Nel trascrivere le risposte alle domande ho atteso che riaffiorassero i ricordi e le esperienze della vita. Ho rispettato i tempi delle esposizioni, i ripensamenti e, in alcuni casi, i silenzi originati da pudore o ritrosia. Di volta in volta, ho verificato i
contenuti delle testimonianze dando ai testi forma narrativa compiuta e condividendo la rielaborazione ...
definitiva. Contemporaneamente ho raccolto da quasi tutti foto e documenti, commentandoli con loro
per poterne predisporre le didascalie.
Di indubbia importanza credo sia stato conoscere la fascia di età entro la quale sono espatriati: gli uomini tra i 15 e i 20 anni sono stati otto; uno tra i 21 e 25 anni; uno tra i 26 e i 30; uno ha raggiunto
i genitori a meno di 14 anni iniziando a lavorare senza contratto, sottoscritto a 15; uno, dopo essersi
ricongiunto ai genitori a 11 anni, appena conseguito il diploma di quinta elementare, ha frequentato
scuola e apprendistato svizzeri iniziando a lavorare a 20. Nel corso del 2012 il più anziano degli intervistati compie 90 anni, il più giovane 65. Quanto alle donne, sette sono emigrate tra i 15 e i 20 anni e
due tra i 21 e 25; la più avanti con l’età quest’anno ne festeggia 88 e la più giovane 66.
Altro presupposto, è stato quello di individuare le principali occupazioni sia maschili che femminili,
tenendo presente che la mobilità lavorativa delle donne è stata decisamente più elevata rispetto a quella
degli uomini, nonostante le severe norme contrattuali e le difficoltà a ottenere i permessi di soggiorno.
In tal senso, ad esempio, le disposizioni emanate dalle autorità svizzere nel 1961 e nel 1970 continuavano ad essere restrittive e parzialmente diverse da Cantone a Cantone.
Sei degli emigranti sentiti hanno lavorato stabilmente nell’edilizia (muratori e gessini); altri due sono
stati inizialmente assunti in settori in parte ad essa collegati (carpenteria in legno, falegnameria) per
passare successivamente ad altre occupazioni; tre hanno trascorso la maggior parte degli anni in aziende
del comparto metalmeccanico e/o elettrico-elettronico; uno, avviatosi al lavoro nel settore tessile, ha
concluso quale dipendente di un’importante istituto bancario.
Riferendomi alle donne, ribadita la loro forte propensione a cambiare attività e - in alcuni casi - stante la
dipendenza dai contratti di lavoro dei rispettivi coniugi, specialmente se stagionali, almeno per quattro
di loro l’esperienza lavorativa all’estero è cominciata con l’assunzione nelle aziende tessili per passare
quindi a un settore diverso come il metalmeccanico o a quello del commercio e dei servizi (dall’abbigliamento alla ristorazione degli operai, dal turismo alla cura dei bambini). Quattro, viceversa, o hanno
iniziato nell’agricoltura e continuato nell’industria tessile, o sono state assunte da una grande azienda
produttrice di materiale sanitario. Una si è distinta su tutte: ha fatto la cròmera, l’antico e faticoso mestiere dell’ambulante praticato dai lamonesi, maschi e femmine, a partire dalla fine dell’Ottocento.
Altrettanto essenziale ho ritenuto fosse la distribuzione geografica dei luoghi nei quali i ventuno emigranti hanno lavorato. Tenendo conto della mobilità all’interno di uno medesimo Cantone e del fatto
che tradizionalmente il flusso migratorio si è diretto per la maggior parte nella Svizzera centrale, diciassette hanno prevalentemente vissuto nei Cantoni di lingua tedesca, ovvero Zurigo, San Gallo, Nidwalden, Glarus, Lucerna; due nel Cantone francese di Ginevra; una per lo più nel Cantone Ticino e una,
data la sua professione, ha percorso per anni Cantoni diversi, compreso quello dei Grigion

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Ho capito!
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